L’Iglisiente e il Sulcis: gli approdi dei Fenici

Spiagge bianchissime e saline arroventate dal sole, misteriose fortezze costruite dai Fenici e malinconiche miniere in abbandono. E poi le torri cinquecentesche della costa, i valloni rivestiti da impenetrabile macchia dove galoppa ancora il cervo sardo, le domus de janas preistoriche e i castelli medievali, i vigneti, i nidi di falco della regina costruiti sulle scogliere più impervie.

Nell’angolo sud-occidentale della Sardegna, l’Iglesiente e il Sulcis sono una terra di contrasti. Formati all’interno da una successione di aspre montagne granitiche (tra cui il Monte Arcosu, la Punta Maxia circondato da selvaggi valloni, il Monte Linas che tocca i 1236 metri di quota, i torrioni rocciosi del Monte Arcuentu), scendono verso il litorale con un’alternanza di splendide spiagge e di imponenti scogliere rocciose, tra cui spiccano quelle di Capo Teulada e Masùa.

A sud ovest, verso il Mediterraneo aperto, si affiancano alla costa di Portoscuso e Carbonia le isole di Sant’Antioco e San Pietro, con i loro altopiani ricoperti di campi e vigneti, e le coste che alternano lagune, saline e scogliere.

All’interno, l’Iglisiente e il Sulcis sono una delle parti più remote e solitarie della Sardegna. Solo raramente percorsi dall’uomo, i valloni che scendono dalle cime più alte sono in gran parte ricoperti da fittissima macchia, interrotta da cascatelle e da torrioni granitici dalle forme bizzarre. Non è un caso che in queste valli selvagge, nonostante secoli di caccia forsennata, abbia trovato il suo ultimo rifugio il cervo sardo, una delle specie endemiche più preziose dell’isola.

Se l’interno è selvaggio, però, il litorale è aperto da millenni alle immigrazioni e ai traffici. Grazie all’abbondanza di approdi naturali e alle buone vie di comunicazione verso l’interno, i Fenici hanno costruito sulla costa le città di Sulki (Sant’Antioco), Bithia e Nora, sorvegliate dalla imponente fortezza di Monte Sirai. Più all’interno, in un severo paesaggio roccioso, Cartaginesi e Romani hanno venerato i loro dei nel solitario Tempio di Antas.

Ai piedi delle montagne ma a poca distanza dalla costa, la città di Iglesias, una delle più interessanti dell’isola, è stata nel Medioevo la più importante roccaforte pisana nell’isola, e conserva numerose belle chiese di stile toscano. Nel Settecento, sulle isole di Sant’Antioco e San Pietro si insediò una numerosa comunità di liguri provenienti dalla città tunisina di Tabarka.

In epoche più recenti, la storia dell’Iglisiente ha in buona parte coinciso con quella dei suoi giacimenti minerari. Coltivate fin da tempi lontani, notevolmente potenziate sotto il fascismo e nel secondo dopoguerra, le miniere di Iglesias, Carbonia, Montevecchio e Pranu Sartu sono state in buona parte abbandonate negli anni Sessanta, lasciando senza lavoro i contadini e i pastori che avevano lasciato campi e greggi per il duro (ma teoricamente più sicuro) lavoro in miniera.

Gran parte delle bellezze e dei problemi della Sardegna sono presenti in questa zona. Sul mare si affacciano gli alberghi di lusso di Chia, le preziose colonie di falco della regina di Capo Sandalo, il poligono di Capo Teulada teatro di esercitazioni e bombardamenti per dieci mesi ogni anno.

All’interno, che resta quasi sconosciuto al turismo, sono montagne percorse da spettacolari sentieri, necropoli antiche come quella di Montessu, castelli medievali come quello di Acquafredda, curiosità naturali come la cascata di Sa Spèndula e la Grotta San Giovanni di Domusnovas.

Oltre al tradizionale turismo rivolto al mare e alle spiagge, l’arrampicata e le escursioni a cavallo, il turismo archeologico e i sentieri offrono spunti anche per il visitatore più esigente. In materia di turismo, l’Iglisiente e il Sulcis sono due miniere ancora in buona parte da esplorare.

DA IGLESIAS A PORTOSCUSO (58 KM)

Punto di partenza dell’itinerario è la storica cittadina di Iglesias, una delle più piacevoli ed interessanti dell’isola dal punto di vista architettonico.

Cuore e roccaforte del dominio di Pisa sulla Sardegna, fondata dal Conte Ugolino con il nome di Villa Ecclesiae, l’abitato ha al centro la bella cattedrale di Santa Chiara, fondata nel Duecento e ampiamente rimaneggiata in stile gotico-catalano tra il 1576 e il 1588. Di grande interesse è anche la chiesa tardo-gotica di San Francesco, un altro magnifico edificio di stile catalano cui si affianca un’elegante capilla mayor del 1523.

Completano la conoscenza di Iglesias le visite della chiesa seicentesca del Collegio e del ricchissimo Museo di Mineraologia con i suoi oltre 8000 campioni, una passeggiata lungo la poderosa cerchia delle mura pisane, costruite nel Duecento e risistemate dagli Aragonesi cent’anni più tardi.

Usciti da Iglesias si raggiunge in breve la scorrevole statale 126 che scende in direzione della costa. La si segue per poco più di 5 km, attraversando gli edifici in abbandono e gli scavi della miniera di Monteponi. Al primo bivio la si lascia, e si piega a destra sulla strada che raggiunge in breve la splendida spiaggia di Fontanamare – Marina di Gonnesa.

Oltre la spiaggia la strada si alza sulla costa rocciosa, offre splendidi panorami sulle scogliere di Porto Flavia e l’isolotto del Pan di Zucchero. Raggiunto l’abitato di Nebida, si scende in ambiente via via più selvaggio fino alle poche case di Masùa, un altro caratteristico insediamento minerario.

Una strada scende in un km e mezzo costeggiando l’insediamento della miniera, e raggiunge la costa di fronte alla quale si alza il Pan di Zucchero, difeso da alte scogliere e che raggiunge i 132 metri di quota: si tratta di uno dei più suggestivi isolotti rocciosi che si affiancano al litorale della Sardegna. Dal posteggio dove termina l’asfalto, una stradina sterrata si alza con un tornante e raggiunge la base dell’imponente scogliera.

Il Pan di zucchero visto dalla costa (Credits: WIkipedia)

Da Masùa, una ripida e assolata strada sterrata sale a tornanti verso la montagna. Raggiunto un valico si trova il tracciato asfaltato che arriva da Buggeru, e si scende toccando l’insediamento minerario in abbandono di Montecani. Più avanti, la strada continua in ambiente solitario e selvaggio, e raggiunge il bivio per la splendida insenatura di Cala Domestica, preceduta da un’ampia e arida vallata e sorvegliata dai resti di una torre cinquecentesca. Lasciato a sinistra il villaggio minerario in abbandono di Pranu Sartu, si scende al fiordo dove sorge l’abitato di Buggerru. Da Pranu Sartu, che ricorda per atmosfera il villaggio di Argentiera nella Nurra, ci si affaccia dall’alto sulla scogliera, cui si affianca un suggestivo faraglione. Questa spettacolare costa rocciosa, nella quale si apre la Grotta Azzurra, può essere comodamente ammirata dal mare. Un paio di km oltre Buggerru si allunga la bellissima spiaggia di Portixeddu.

Pranu Sartu (Diritto d’autore: osmar01 / 123RF Archivio Fotografico)

Il percorso principale torna invece alla statale 126, e la segue lasciando a destra la deviazione per Portoscuso e Porto Vesme, che si raggiungeranno più tardi. Si prosegue nella pianura in direzione di Carbonia e, dallo svincolo che la precede, si sale per una stradina asfaltata fino al pianoro di Monte Sirai, che ospita uno dei siti archeologici più emozionanti dell’isola. Affacciato su un magnifico panorama sulla pianura costiera e le isole, l’altopiano conserva gli imponenti resti di una fortezza costruita dai Fenici di Sulki intorno al 650 a. C., distrutta un secolo dopo dai bellicosi Sardi dell’interno e ricostruita al tempo di Cartagine.

La prima cerchia di mura, a mezza costa sul pendio, si attraversa nell’avvicinamento in auto. L’area recintata degli scavi coincide con l’acropoli antica, che misurava 300 metri per 60. Dall’ingresso, un viottolo porta alle mura del mastio, costruite con grossi blocchi in basalto, oltre il quale si distingue una serie di edifici. Una nicchia nelle mura ospita la statua di Astarte che oggi si ammira nel Museo di Cagliari. Poco più in basso, sul pendio, sono le tombe scavate nella roccia di una necropoli punica. Per un sentierino nella macchia, si raggiungono le rovine del tophet, il santuario presente in tutti gli insediamenti dei Fenici. Ridiscesi da Monte Sirai si punta verso la costa, si passa accanto alla raffineria di Porto Vesme, e si raggiunge l’imbarco del traghetto per San Pietro.

DA PORTOSCUSO A SANT’ANTIOCO (37 KM)

L’oretta di navigazione dalle ciminiere di Portovesme al lungomare di Carloforte consente di lasciarsi alle spalle il volto più degradato della Sardegna, e di raggiungere un autentico paradiso di natura com’è l’isola di San Pietro, che Greci e Romani conoscevano come “l’isola dei falchi”.

Porta dell’isola è Carloforte, una piacevole cittadina portuale fondata da Carlo Emanuele III nel 1788 dopo l’arrivo dalla Tunisia dei liguri tabarkini. Sul lungomare, sorvegliato dalla imponente statua del sovrano di Casa Savoia, si affaccia anche la chiesa neoclassica di San Carlo Borromeo, costruita dall’ingegnere militare Augusto de la Vallée a imitazione della parrocchiale di Pegli. Alle sue spalle, le ripide viuzze a scalinata danno a chi li percorre l’impressione di muoversi tra i carrugi di una cittadina della costa ligure, scandite da ristoranti tipici, botteghe di souvenir e “bassi” di puro stile mediterraneo. All’estremità meridionale dell’abitato, a poca distanza dalle saline, si raggiunge la chiesa settecentesca di San Pietro.

Isola di San Pietro (Credits: WIkipedia)

Da Carloforte, tre strade consentono di approfondire la conoscenza dell’isola. La più breve porta al promontorio de La Punta, all’estremità settentrionale dell’isola, accanto ad alcune tonnare oggi trasformate in villaggio turistico. La più frequentata aggira verso sud le saline, si affaccia su Cala Mezzaluna e termina accanto alla bella spiaggia de La Caletta.

La strada più bella, però, è senz’altro quella centrale, che attraversa la parte centrale dell’isola, supera una depressione punteggiata da casette bianchissime, e risale in direzione della cresta che nasconde il mare aperto. Lasciato a destra il faro, una breve discesa porta al posteggio che precede Capo Sandalo, il promontorio roccioso che segna l’estremità occidentale di San Pietro.

Il faro di Capo Sandalo (Credits: WIkipedia)

La principale attrattiva di questa zona, per gli appassionati di birdwatching, è la presenza del falco della regina, uno dei rapaci più rari d’Italia e del Mediterraneo, che nidifica tra l’estate e l’autunno sulle rocce di Capo Sandalo. Nella stagione “calda” i volontari della LIPU stazionano di solito accanto al prefabbricato che funge anche da piccolo centro-visite all’estremità del posteggio, e vigilano affinché i visitatori non si avvicinino troppo ai nidi.

Per ammirare dall’alto le eleganti evoluzioni dei falchi è sufficiente seguire il viottolo selciato che continua sul crinale fino a poche decine di metri dalla Punta di Capo Rosso. Ancora pochi passi e ci si affaccia all’improvviso sulla scogliera dove i rapaci nidificano.

Prima di tornare al posteggio, è possibile seguire un altro viottolo, in parte crollato, che si avvicina all’orlo della parete rocciosa, e poi scende a strette svolte fino al mare. Verso destra, scavalcando un crinale roccioso, si può raggiungere un suggestivo pianoro roccioso ai piedi del vero e proprio Capo Sandalo.

DA SANT’ANTIOCO A IGLESIAS (92 KM)

Più breve dalla precedente (occorrono 40 minuti), la traversata in traghetto da Carloforte a Calasetta offre interessanti panorami su entrambe le isole del Sulcis, e sulla terraferma dove spicca la sagoma di Monte Sirai.

Nata nel 1769 con l’insediamento di un’altra comunità ligure proveniente da Tabarka, Calasetta è un borgo di contadini e pescatori con al centro una semplice chiesa barocca in stile piemontese.

Da Calasetta, la stradina asfaltata che inizia sulla destra poco dopo il porto consente di fare, in circa 30 km, che alterna i vigneti a belle scogliere rossastre e a piccole spiagge poco frequentate e che invitano a un bagno. Chi non vuol compiere l’intero percorso può limitarsi ai primi 7 km, che consentono di dare un’occhiata alla tonnara abbandonata di Punta Maggiore.

Dal paese, una comoda strada di 9 km attraversa con brevi saliscendi l’angolo settentrionale dell’isola e raggiunge l’abitato di Sant’Antioco, l’antica Sulki fondata nell’ottavo secolo a.C. dai Fenici.

Ottima base marittima a causa dei suoi approdi riparati dai venti, la città aveva anticamente un’estensione molto superiore a quella attuale, servì da base alle navi di Cartagine nella prima guerra punica, fu devastata nel 47 a.C. dalla flotta di Cesare per aver parteggiato per Pompeo. Completamente abbandonata nel Cinquecento dopo una serie di feroci scorrerie provenienti dal mare, è stata riedificata e rioccupata a partire dal Settecento.

Sant’Antioco (Diritto d’autore: gioorgia / 123RF Archivio Fotografico)

La visita di Sant’Antioco coincide in gran parte con quella dei resti della città punica, di cui sono ben visibili il tophet (affacciato su un bellissimo panorama), alcuni tratti delle fortificazioni e parte della necropoli.

Molto interessante è anche il piccolo Antiquarium che conserva stele, vasi, anfore e rilievi provenienti dal tophet di Sulki e da altri insediamenti antichi della zona, e che sarà trasferito in un nuovo edificio ai piedi dell’acropoli. In piazza De Gasperi, nella parte moderna del paese, merita una visita la chiesa di Sant’Antioco, costruita probabilmente nel V sec., coronata da una bella cupola, e affiancata da alcune catacombe ricavate dalla trasformazione di un ipogeo punico.

Usciti dall’abitato di Sant’Antioco, la strada scavalca con un ponte il breve braccio di mare che la separa dalla terraferma, costeggia lo Stagno di Santa Caterina e raggiunge un quadrivio. Qui si va a destra nella campagna, si incrocia la statale 195 e si raggiunge Tratalias, tranquillo borgo agricolo al cui interno si trova la duecentesca chiesa di Santa Maria, che fu a lungo cattedrale della diocesi di Sulcis.

Si continua verso l’interno lasciando a destra il lago artificiale di Monte Pranu, si va a destra a un bivio, e si continua ai piedi del Monte Narcao fino al borgo agricolo di Villaperuccio. Senza entrare nel paese si va a sinistra in direzione di Narcao, dopo un km si devia ancora a sinistra, su una stradina indicata da un cartello, fino all’ingresso del Parco Archeologico di Montessu.

Ai piedi delle montagne del Sulcis, l’area archeologica ospita una delle più importanti necropoli della Sardegna e conta una quarantina di domus de janas, alcune delle quali hanno la forma di un piccolo tempio.

L’istituzione – nel 1996 – del Parco Archeologico di Montessu, è stata un passo importante per la sistemazione e la valorizzazione della zona, ma ha comportato l’installazione di una quantità davvero eccessiva di recinzioni, staccionate e viottoli selciati. La passeggiata nella necropoli è comunque di grande suggestione ed interesse.

Dal posteggio, uno stradina lastricata e poi un sentiero a scalini portano alle tombe più spettacolari della necropoli, tutte scavate nella roccia e circondate da fitta vegetazione. Un sentiero porta a sinistra verso delle altre sepolture, un altro compie un ampio giro verso destra, e riporta al di sopra della parete in cui si aprono le tombe.

Un altro evidente viottolo riporta a sinistra con un bel panorama sulla necropoli, sul Monte Narcao e sulla pianura costiera, e raggiunge altre sepolture interessanti, una delle quali ha accanto all’ingresso due colonne scavate nella roccia. Un’ennesima strada selciata riporta al posteggio. La camminata richiede da una a due ore.

Dal Parco Archeologico conviene tornare a Villaperuccio, raggiungere la statale 293 e seguirla verso nord est in direzione dei monti dell’Iglisiente. Il tracciato tocca i piccoli borghi di Nuxis e Acquacadda, costeggia un piccolo lago artificiale, e poi scende nella stretta valle del Riu sa Schina de sa Stoia fino ai piedi della rupe granitica che regge il pittoresco castello di Acquafredda, costruito a partire dal 1567 dai Donoratico della Gherardesca.

Da un posteggio tra i rimboschimenti ai piedi della costruzione, si sale verso la fortezza per un viottolo che lascia il posto a un sentierino a zig zag nella fittissima vegetazione. Superata la forcella che separa le due vette della montagna, si sale a sinistra per una rampa rocciosa fino al vero e proprio castello.

Meritano una sosta anche le rovine che sorgono sul cocuzzolo più basso. L’intera zona, ricca di rocce in bilico e di cavità nascoste, richiede un po’ di attenzione per evitare scivoloni o incidenti.

Poco a nord del Castello di Acquafredda, la statale 293 incrocia la vecchia strada che collegava Cagliari con Iglesias. Conviene seguirla verso sinistra per 7 km in direzione di Villamassargia, e poi deviare verso destra verso la nuova e veloce statale 130, che si segue brevemente verso Iglesias.

Al bivio successivo si devia nuovamente verso destra, seguendo le indicazioni per il grosso borgo agricolo di Domusnovas, ai piedi delle montagne dell’Iglisiente, che si raggiunge in altri 8 km. Fondata nel Medioevo dai Pisani della vicina Iglesias, conserva scarsissime tracce di mura e due chiese di non eccessivo interesse. Quella di Santa Barbara, costruita probabilmente nel Duecento, è però stata completamente trasformata nel Settecento, e ha oggi un aspetto quasi completamente moderno.

Più interessante, e decisamente insolito, è proseguire per 3 km verso nord fino all’imbocco della Grotta di San Giovanni, un’imponente cavità naturale al cui sbocco vi è una ricca sorgente le cui acque sono captate e condotte in direzione di Cagliari. A rendere unica la grotta è la presenta di una strada che la attraversa interamente. Costruito nel dopoguerra per raggiungere le miniere della Valle di Oridda è la cavità naturale transitabile su strada più grande del mondo.

Le pareti rocciose ad entrambe le estremità della grotta sono percorse da numerose vie di arrampicata, frequentate dagli scalatori di Cagliari come da quelli che arrivano da lontano per divertirsi sulle rocce della Sardegna.

Oltre la grotta, la strada diventa sterrata e si biforca. Occorre tenersi sulla strada di destra, sul tracciato che continua nella valle del Riu Sarmentus. Segnata con quadranti di color arancione, la sterrata diventa ben presto impercorribile alle auto, e offre un bell’itinerario da fare a piedi o in mountain-bike. In 4 km dal bivio di raggiunge la miniera abbandonata di Reigraxius. Per il ritorno, invece della strada di fondovalle, è possibile seguire il sentiero (segnato in bianco-rosso) che sale alle Case Marganai, prosegue sul crinale verso la Punta San Michele, e poi scende lungo il Riu Corovau in direzione del punto di partenza.

Tornati a Domusnovas, basta meno di un quarto d’ora per tornare nel centro di Iglesias. Occorre raggiungere nuovamente la statale 130, seguirla verso ovest per 4 km, e poi deviare in direzione della cittadina fondata dal Conte Ugolino.

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