Cosa vedere a Teramo

Teramo sorge alla confluenza dei fiumi Vezzola e Tordino e per questo, in età romana, fu chiamata interamnia (tra due fiumi) Praetutiorum. Posta in una conca circoscritta da colline, guarda i Monti della Laga ed il massiccio del Gran Sasso che caratterizza l’intero paesaggio di questa parte d’Abruzzo.

Teramo rappresenta, quindi, un ottimo punto di partenza per le escursioni sul versante orientale del Gran Sasso, che vanta alcune amene località come Prato Selva, o l’ancora più rinomata stazione sciistica di Prati di Tivo. Segnaliamo, inoltre, che da Prati di Tivo è possibile l’ascesa alla vetta del Corno Grande (2912 m.) anche per alpinisti non esperti che non vogliono rinunciare all’emozione di godersi un magnifico panorama dalla cima più alta dell’Appennino, o di passeggiare nei pressi del ghiacciaio perenne del Calderone.

CENNI STORICI 

Le fonti preromane sono piuttosto confuse, ma al contrario sono molte le testimonianze romane. Durante il medioevo fu annessa al ducato Longobardo di Spoleto; nel 1156 venne distrutta da un incendio per ordine del normanno Roberto conte di Loretello e poi ricostruita dal vescovo Guido II.

Soggetta al dominio svevo, nei secoli XIV e XV fu angustiata da rivalità tra famiglie locali, che si placarono quando Francesco Sforza impose la sua autorità (1438-43). Fu sotto Alfonso d’Aragona; per breve tempo affidata alla famiglia Acquaviva, ritornò quindi alla monarchia aragonese. Occupata dai Francesi nel 1798, si ribellò a Murat nel 1814; fu poi inclusa nel Regno delle Due Sicilie per seguire così la storia dell’Unità d’Italia.

ITINERARIO

Punto di partenza è senz’altro Piazza Martiri della Libertà. Qui si erge la Cattedrale, dedicata all’Assunta, dall’originale e complesso impianto. Fu iniziata per volere del vescovo Guido II nel 1158 ed i lavori proseguirono con alterne vicende fino al Quattrocento. In seguito fu arricchita al suo interno da una sontuosa veste barocca, cancellata poi dal restauro degli anni ’30 che le ha restituito il suo originario aspetto. In facciata sono riconoscibili le fasi salienti della sua edificazione: nella parte inferiore (XII sec.), sulla nuda cortina della facciata,  spicca il ricco portale romanico di Diodato Romano (1332). Sono aggiunte gotiche l’alzata di mattoni a spina di pesce con relativa merlatura a volo di rondine al sommo del coronamento orizzontale, e la ghimberga (seconda metà del ‘400) riccamente lavorata che, estendendosi in altezza, tentava di correggere lo sviluppo orizzontale dell’impianto romanico in quello verticale, tipicamente gotico. Tra le sculture di arredo della facciata da notare, al sommo dei leoni stilofori del portale, l’Arcangelo Gabriele e l’Annunciata, opere di Nicola da Guardiagrele. Il campanile, a pianta quadrata, è stato ultimato nel 1493 da Antonio da Lodi (autore di altri campanili in Abruzzo), a cui si devono lo slanciato corpo ottagonale con bifore,  decori a maiolica e la svettante cuspide finale.

La parte posteriore della chiesa presenta un’altra facciata (XIV sec.) realizzata forse, in previsione di un ribaltamento dell’ingresso dell’edificio, in relazione ad uno sviluppo verso ovest della città. L’interno a tre navate è romanico nella parte anteriore, gotico in quella posteriore con slanciate arcate ogivali; ai piedi della scalinata del presbiterio si trova sulla destra un bel pulpito e sulla sinistra un candelabro pasquale. Ma, vero gioiello della cattedrale, è il Pallotto d’argento, stupenda opera eseguita tra il 1433 e il 1448 da Nicola da Guardiagrele; consta di 35 pannelli divisi in quattro ordini, che illustrano episodi della vita di Cristo e scene sacre. Alla parete destra del presbiterio è un’altra pregevole opera: il polittico con l’incoronazione della Vergine nella cui parte sottostante è raffigurata la città di Teramo e ,tra gli oranti, il ritratto di Nicola da Guardiagrele e quello dello stesso autore: Iacobello del Fiore; ai lati ancora figure di santi e profeti. Il tutto è racchiuso entro una raffinatissima cornice gotica in legno dorato e intagliato.

Il fianco destro della cattedrale guarda il Palazzo del Municipio, che è stato edificato alla fine del secolo scorso, inglobando in facciata una sobria loggia del ‘300 con volte a crociera, destinata un tempo al mercato e alle adunanze del Parlamento. Prospetta sulla medesima piazza anche il Palazzo Vescovile, il cui impianto risale al XIII sec. La facciata principale si fregia anch’essa di una raffinata loggetta trecentesca.

La Teramo romana, Interamnia Praetutiorum, si estendeva dall’attuale Largo delle Grazie, ad est, a Piazza Martiri della Libertà, ad ovest, dove un fossato tra i due fiumi Vezzola e Tordino, la difendeva naturalmente. Ancora oggi è possibile ammirare le testimonianze architettoniche di quel passato. Infatti, immediatamente nei pressi della cattedrale, si trova l’anfiteatro, datato III – IV sec., che misurava 208 metri di perimetro. Parte delle mura in laterizio è visibile lungo il fianco sinistro della cattedrale in via S. Bernardo, in via Irelli e nel cortile dell’attuale liceo artistico, il cui edificio ha assecondato, in parte, la forma ellittica del monumento romano. Più maestoso è il teatro del 30 a.C.. La cavea misurava 78 metri di diametro e poggiava su 20 arcate in travertino, di cui due sono ancora ben conservate; all’interno la struttura è in tufo e laterizio. Oggi il teatro è utilizzato come spazio per manifestazioni culturali e sportive.

La chiesa di S. Getulio, in via Antica Cattedrale, sorge sui pochi resti della cattedrale di S. Maria Aprutiensis del VI sec., eretta in forme bizantine su preesistenze romane e distrutta, insieme al resto della città, nel 1155 dal normanno Roberto conte di Loretello. Al suo interno si può ammirare, a testimonianza della chiesa bizantina, la bella galleria a trifora formata da tre archi poggianti su colonnine di cipollino e capitelli marmorei corinzi, provenienti, probabilmente, dall’edificio sottostante alla chiesa del quale è visibile il pavimento a mosaico.

Su Largo Melatini si trova la chiesa di S. Anna dei Pompetti che, dell’originaria costruzione romanico-gotica (XIII – XIV sec.), conserva il bel portale romanico, le tre monofore lungo il fianco sinistro e l’alta bifora absidale duecentesca con colonnine tortili, tramezzata da un architrave. L’interno è barocco.

In corrispondenza della parte absidale c’è la casa dei Signori di Melatino, una casa medievale due-trecentesca, sebbene rimaneggiata nel Quattrocento. Due delle quattro bifore del piano superiore hanno singolari colonnine divisorie intorno alle quali è scolpito il serpente con testa di donna che tentò Eva.

Il Santuario Madonna delle Grazie, originato dall’accorpamento di una chiesa e di un convento delle monache benedettine, fu ingrandito nel XV sec. per ospitare i frati Minori che vollero impreziosirlo con la bella Madonna col Bambino, opera in legno policromo attribuita all’autorevole Silvestro dell’Aquila, custodita ancora oggi all’interno della chiesa a croce latina con affreschi di fine ottocento di Cesare Mariani. La facciata del 1920 è in stile pseudo romanico-rinascimentale.

Piccola ma interessante la Pinacoteca che, insieme al Museo Civico, è situata nella Villa Comunale. Custodisce interessanti dipinti di scuola teramana e abruzzese, di scuola napoletana del XVIII sec. e di scuola romana. Vi si trova anche una collezione di ceramiche di Castelli.

COSA GUSTARE

Tradizione e genuinità, sapori forti del passato rivisitati e riadattati al gusto dei giorni nostri. Sono questi gli ingredienti che fanno della gastronomia teramana una delle più apprezzate cucine d’Abruzzo e non solo.

Un’arte culinaria che nel corso degli anni è stata capace d’innovarsi senza tradire le proprie radici, recuperando e rivisitando quella che un tempo era chiamata “cucina povera” e che oggi è diventata sinonimo di eccellenza e qualità.

Tra gli antipasti tipici possiamo menzionare l’antipasto alla giuliese, tipico piatto di pesce della tradizione culinaria di Giulianova (affacciata sull’Adriatico), realizzato con vongole, calamaretti, scampi, soglioline e tonno. L’antipasto di fegatini è invece tipico dell’entroterra teramano. In questo caso i fegatini vengono fatti soffriggere con cipolla, vino bianco e sottaceti e, a piacimento, ci si possono aggiungere triangolini di pane o crostini.

Tra i contorni tradizionali non possono mancare le patate, uno degli ingredienti più utilizzati nella cucina abruzzese, nella variante delle patate ‘mporchettate, arricchite con un battuto preparato con il lardo, l’aglio e il rosmarino. Altro contorno caratteristico è quello delle fuje strascinite, ossia le verze in padella, che si preparano con verze fresche, olio, aglio, alloro, peperoncino e vino bianco. Li fuje strascinite sono un piatto della tradizione, della cucina povera, gustoso, saporito e perfetto da accompagnare alla carne di maiale.

Per quanto riguarda i primi piatti, il timballo di scrippelle è immancabile nei menù tradizionali. Elaborato e gustoso, il timballo di scrippelle è il piatto principe dei giorni di festa a Teramo. Immancabile a Natale, e a Capodanno. Le “scrippelle” sono frittatine sottilissime di acqua, farina e uova, preparate su una padella caldissima, simili, se non identiche, alla “crepe” francese. Il timballo alla teramana, presenta poco sugo, ma è ricco di “pallottine” come quelle dei maccheroni alla chitarra, e trova la sua particolarità nella preparazione degli strati che, non sono di pasta sfoglia, ma di “scrippelle”. Oltre al sugo con le pallottine, i leggerissimi strati di scrippelle ospitano infatti spinaci, uova, dadini di formaggio o mozzarella, carciofi e tutto quello che ogni donna di casa ha ereditato da madre e nonna.

Le scrippelle si presentano come sottili “frittatine” preparate con farina , uova e acqua. La loro versione “mbussa“, ossia bagnate con brodo, è una ricetta tipica del teramano. Praticamente le scrippelle ‘mbusse sono una rivisitazione di un piatto francese, le classiche crepes, molto raffinate e dal sapore delicato.

Anche un altro primo tipico viene dalla zona di Giulianova: gli spaghetti alla giuliese, la cui bontà è esaltata dalla presenza del pesce locale (vongole e scampi). I ravioli dolci di ricotta vengono gustati soprattutto durante la settimana di Carnevale. L’involucro esterno è una normale pasta fresca all’uovo, le dimensioni sono poco più grandi dei normali ravioli, mentre il ripieno è sensibilmente differente, composto da ricotta impastata con tuorli d’uovo, cannella tritata, zucchero, buccia grattugiata di limone e maggiorana. Altro primo che potreste trovare facilmente nei menù è quello dei pappicci al pomodoro, uno dei piatti più famosi della sua cucina “povera”. Interessante è sapere che un tempo se ne nutrivano le puerpere. Si tratta di una minestra brodosa con tagliatelle corte e strette condita con un trito di lardo e cipolla a cui si aggiungono i pomodori.

Il primo piatto teramano per eccellenza è invece quello dei maccheroni alla chitarra. Il nome “chitarra” deriva dallo strumento attraverso il quale l’impasto viene tagliato per ottenere i maccheroni. Qui vengono lavorati degli spaghetti a sezione quadrata, che generalmente vengono accompagnati con un sugo di castrato d’agnello, o d’agnello e peperoni o con un semplice sugo di pomodoro al peperoncino spolverizzato da abbondante pecorino.

Non possiamo non citare le virtù, la ricetta teramana entrata nella più radicata delle tradizioni, la cui origine affonda nella notte dei tempi. Il piatto, a base di legumi, verdure e paste di vario genere, trae la sua fondamentale caratteristica dalla stagione in cui è possibile utilizzare la varia gamma di verdure e legumi. Il suo nome (“virtù”) deriva dalla natura degli ingredienti, che allora, contrariamente a quanto avviene oggi, erano i prodotti più poveri della terra poi, anche dal fatto che la manipolazione comportava l’esercizio della pazienza, certamente, infine, dal fatto che nel mese di maggio (la tradizione vuole che questo piatto venga consumato il 1° maggio) la natura conferisce ai componenti di esso maggior gusto e sapidità.

I maccheroni con le ceppe (localmente chiamati “i makkarù nghe li cèpp”) sono così denominati perché si tratta di grossi bucatini fatti a mano arrotolando la pasta intorno a un bastoncino. Una leggenda vuole che si tratti di una pietanza inventata da un cuoco militare che, durante un assedio alla Fortezza di Civitella, non avendo disponibilità di attrezzi idonei, utilizzò un ceppetto in legno inventando, dunque, i maccheroni con le ceppe. Sono una delle paste abruzzesi fatte in casa più buone in assoluto ma anche più a rischio di estinzione per la complessa manualità della preparazione, frutto di tradizione e di esperienza. Per fare “il buco” a questo tipo di maccherone, le massaie si servivano di una sottile bacchetta di legno (la ceppa) ben levigata, attualmente sostituita da un sottile filo di acciaio inox, deve rimanere però intatta la destrezza con la quale si deve togliere dal ferro il maccherone perfettamente dritto ed integro.

Tra i secondi piatti, la ‘ndocca ‘ndocca occupa un posto di rilievo. E’ una ricetta a base di carne di maiale realizzata con tutte le parti suine meno pregiate (orecchie, muso, piedi, coda, costatelle, cotiche, lingua, sangue). Deve probabilmente il suo nome al metodo di preparazione che prevede lo sminuzzamento preventivo delle parti animali in tanti piccoli tocchi, per consentirne la cottura. Questa pietanza, altamente calorica, rappresentava il nutrimento ideale per montanari e contadini durante il lungo e rigido periodo invernale, esempio di una cucina “povera” e semplice.

A base di pesce è il brodetto alla giuliese. Un mix di sapori squisiti per questo piatto unico a base di pesce che porta in tavola tutto il gusto e il profumo della tradizione culinaria giuliese. Il brodetto è nato come piatto povero dei pescatori dell’Adriatico che utilizzavano quel pescato che era difficile da vendere a causa della sua bassa qualità, o delle dimensioni dei pesci, troppo piccoli, e che addirittura utilizzavano, quando il pesce era troppo poco, dei pezzi di scoglio con attaccate alghe e molluschi.

Un piatto tradizionale a base di carne d’agnello è cacio e ovo, che si consuma tradizionalmente durante la Pasqua. E’ un piatto dai sapori rustici, il gusto deciso e selvatico dell’agnello viene sapientemente smorzato dalle più profumate erbe aromatiche. La caratteristica unica di questo secondo piatto è senza dubbio la sua appetitosa cremina a base di uova e pecorino, rigorosamente abruzzese DOC, che avvolge con gusto i teneri bocconcini di agnello.

Anche la porchetta del teramano, insaporita da sale, pepe, aglio e rosmarino, cerca di farsi largo nella tradizione di uno dei prodotti più amati e consumati della regione.

Il tacchino alla canzanese, piatto gradevole e raffinato, può assurgere a simbolo della gastronomia teramana, visto il ricevuto onore di essere tra le provviste della prima spedizione sulla luna, comandata da Armstrong – in quanto cibo  nutritivo, saporito e a lunga conservazione.

Gli amanti della carne non potranno fare a meno di gustare le mazzarelle, una ricetta insolita che a molti farà storcere il naso una volta letta la lista degli ingredienti. Si tratta infatti di involtini di interiora d’agnello (budella, fegato e cuore) avvolti su foglie di lattuga. Mettete da parte i vostri pregiudizi gastronomici e fidatevi di noi. Se vi capiterà di trovarvi in provincia di Teramo non lasciatevi scappare questa prelibatezza.

I vegetariani apprezzeranno invece la tiella, una pietanza risalente alla fine del 1700, quando alcuni ortaggi furono importati dall’America e si diffusero anche in Abruzzo e realizzata con patate, peperoni, pomodori, cipolle, melanzane.

Anche i golosi troveranno pane per i loro denti a Teramo. Tra i dolci più diffusi vi sono i bocconotti, squisiti pasticcini a base di pastafrolla; il pan ducale; i pepatelli; la pizza di Pasqua; la pizza cola; i sassi d’Abruzzo, a base di mandorle tostate e le sfogliatelle. Il dolce simbolo della città sono però i caggionetti. Originari della Provincia di Teramo e poi diffusi in tutta la regione, in ogni città dell’Abruzzo nel periodo natalizio si preparano questi dolci e ogni zona prevede una variante nel ripieno. Simili ai ravioli fritti, i caggionetti si possono riempire con i ceci, o con le castagne, cioccolato fondente e mandorle. A fine non possono mancare!

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