Capraia: l’isola dei mille profumi

Dà il meglio di sé in primavera la piccola e ancora selvaggia isola dell’Arcipelago Toscano sulla rotta per la Corsica. Rocciosa, offre percorsi a piedi tra ginestre in fiore, ciclamini, orchidee e cascate rosa di caprifoglio. Sul mare, scogliere, piccole cale e baie segrete da raggiungere in barca.

Appena sbarcati si è subito avvolti dal respiro salmastro di questo scoglio selvaggio, inondato della luce mediterranea. Prima e unica regola: non avere fretta.

I Greci la chiamavano Aegylon, “posto della capre”, ma sull’isola si trovano poche tracce di questo animale: i dieci esemplari superstiti, tutte femmine fuggite da un allevamento, si riuniscono sopra il molo di attracco del traghetto. Il nome Capraia proviene dal latino Capraria, che deriva a sua volta dall’etrusco capra, ovvero “pietra”. Un evidente riferimento alla sua conformazione rocciosa.

Credits: Wikipedia, Luca Aless

L’origine vulcanica è inequivocabile. Lo testimoniano la morfologia della costa e dell’entroterra, il colore e la composizione delle rocce, gli accumuli di ceneri e lappi.

La creazione nel 1873 della colonia penale agricola, smantellata poco più di un secolo dopo, ha preservato l’isola dalla speculazione edilizia contribuendo indirettamente all’integrità del territorio, oggi tutelato dal Parco Nazionale Arcipelago Toscano.

Importante tappa migratoria per molte specie alate tra l’Europa e il continente africano, Capraia è una delle mete più ambite dagli appassionati di birdwatching. D’obbligo un binocolo per seguire le picchiate del falco pellegrino e i voli del falco pescatore, che arriva dalla vicina Corsica, o del gabbiano corso che ogni primavera nidifica su queste scogliere.

Torre dello Zenobito (Credits: Wikipeia, Saliko)

La terza tra le sette sorelle dell’Arcipelago Toscano possiede un’unica strada asfaltata che in poco meno di un km congiunge al porto del paese. Poi solo un reticolo di sentieri che si staccano dalla mulattiera che unisce il centro abitato al cosiddetto Semaforo del monte Arpagna.

Il profilo costiero è un susseguirsi di cale, promontori, grotte, scogli e torri d’avvistamento. Sotto il cristallo dell’acqua, dove la natura vulcanica ha dato sfogo alla fantasia, l’eccezionale trasparenza regala ai subacquei e agli appassionati di snorkeling fondali di grande ricchezza biologica.

Visitando l’isola in barca, esperienza da non perdere, si parte dal porto per effettuare il percorso in senso antiorario. Primo incontro, la grotta e la cala della Mortola, “luogo di mirti”, che custodisce l’unica spiaggia di sabbia dell’isola, con lo scalo omonimo, antico approdo per salire alla torre delle Barbici o della Regina (1698), costruita dai Genovesi.

Forte San Giorgio (Credits: Wikipeia, Saliko)

Poco dopo ecco il tratto di costa del Dattero, dove è possibile osservare la palma nana; poi la grotta Acquissucola e punta della Manza con le rocce scavate dal vento. Da qui fino alla punta del Trattoio, dove c’è il faro, sono vietati l’approdo e la navigazione sottocosta con barche a motore.

Rispettata la zona di riserva integrale ci avviciniamo alla grotta della Foca (o del Bue Marino) che fino agli inizi del secolo scorso ospitava la foca monaca. Poi, superata la cala del Moreto, inizia il tratto più spettacolare, quello in prossimità della punta e della torre dello Zenobito e di cala Rossa: il colore amaranto della roccia, frutto delle esplosioni dell’antico vulcano, contrasta con il grigio della pietra lavica dando vita ad una scenografia irripetibile.

Porticciolo (Credits: Wikipeia, Saliko)

Proseguendo, si sfiorano grotte, scogli, antiche colate di lava e la quattrocentesca torretta del Bagno, eretta a difesa dalle incursioni saracene. Doppiata la punta del Ferraione, con il faro e la statua del Cristo Re, compare la torre del porto (1516), che annuncia la conclusione del nostro tour via mare.

Possiamo allora dedicarci all’isola “di terra”, lungo i tanti sentieri. Facile l’anello del Reganico che conduce alla cala dello Zurletto sfiorando forte San Giorgio, edificato dai Pisani e ampliato dai Genovesi, e la scoscesa punta della Bellavista, per poi rientrare in paese senza ripercorrere i propri passi. Oppure l’altrettanto agevole itinerario che raggiunge il Piano in 40 minuti, toccando la chiesetta romanica di Santo Stefano la cui origine risale al IV secolo, riedificata dai Pisani nell’XI dopo un’incursione dei Saraceni. Con un ulteriore quarto d’ora di cammino si scende a cala del Ceppo, dai grandi ciottoli levigati, con un bel fondale di sabbia e posidonia.

Torretta del Bagno (Credits: Luca Aless)

Di media difficoltà, un sentiero aperto nel 2008: inizia dall’ex colonia penale di Porto Vecchio e in due ora lungo la costa arriva a punta della Teglia, con magnifici scorci su monte Capo e cala della Mortola.

Più impegnativo il percorso che in tre ore sale al monte delle Penne (420 metri), da cui si gode una vista mozzafiato del versante occidentale, con la Corsica all’orizzonte e in cielo i lenti volteggi del corvo imperiale. Preceduto da una distesa di asfodeli appare all’improvviso lo Stagnone, unico specchio naturale d’acqua dolce dell’Arcipelago Toscano, ammantato dal candore dei ranuncoli.

Per chi è allenato, ma straordinariamente panoramico, il sentiero perduto dello Zenobito (circa tre ore e mezza), è uno dei più antichi dell’isola. Parte dell’Azienda Agricola della Piana e con numerosi saliscendi, corre parallelo alla costa orientale; gli omini di sassi aiutano a non smarrire la via, i lucenti bulbi della scilla, la macchia bassa cisto marino e i cespugli argentati dell’elicriso scandiscono il cammino. Ecco la torre dello Zenobito, del 1545, sentinella sui basalti del vulcano, poi falesia di cala Rossa la cui roccia fiammeggiante contrasta con il turchese del mare giù in basso.

Cala Rossa (Credits: Luca Aless)

A Capraia il tormentato suolo vulcanico non ha impedito lo sviluppo di una vegetazione vigorosa, fragrante, ricca di specie tipicamente mediterranee: il corbezzolo, l’erica, il lentisco, il mirto, che hanno colonizzato con tenacia il substrato di lava consolidata. In febbraio-marzo nella radure umide fioriscono i narcisi, le giunchiglie, i ranuncoli, ma è a primavera che l’esplosione della natura lascia senza fiato con le cascate rosa del caprifoglio, il rosso dei ciclamini, il giallo delle ginestre, le splendide orchidee, il sottobosco di felci aquiline. E dopo l’estate, alle prime piogge autunnali, la magia si rinnoca con nuovi colori e nuovi profumi a invadere l’aria.

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