Pievi e castelli tra Siena e Massa

Piccoli paesi antichi di una Toscana segreta dell’entroterra, con atmosfere da racconti di Carlo Cassola, strade da percorrere lentamente tra campagne ricche di olivi. Di castello in castello, di pieve in pieve, insinuandosi a tratti tra i boschi di lecci della Montagnola Senese. E per chi ama l’architettura, la fantastica corona di mura e torri a Monteriggioni, tutta la purezza dello stile romanico (Abbadia Isola) e dell’architettura medievale a Massa Marittima.

La stagione ideale per quest’itinerario è la primavera, quando le facciate delle pievi si illuminano al sole, oppure in autunno, per i colori e i piatti di cacciagione.

Come arrivare

Vi si giunge con la superstrada Firenze-Siena, uscita Monteriggioni. Passando per Abbadia a Isola e Strove, si raggiunge la statale 541. All’altezza di Torri si incrocia la statale 73 che prosegue per i duri tornanti di Roccastrada. Al bivio del Madonnino si imbocca la statale 441 per Boccheggiano-Massa Marittima, l’antica strada delle miniere. Da Massa Marittima si arriva al lago dell’Accesa passando per Capanne. Strade rilassanti e poco trafficate in auto, meglio ancora in moto.

L’itinerario

Si parte da Monteriggioni, uno dei borghi medievali meglio conservati d’Italia, costruito nel Duecento per bloccare le vie di accesso a Siena alle truppe fiorentine. Come allora, presenta intatta una grandiosa e uniforme cerchia muraria, scandita da 14 torri quadrate e due porte, la Porta Franca (verso Siena) e quella di San Giovanni (verso Firenze).

Il borgo fortificato, il cui tracciato circolare fu ricavato seguendo le curve di livello del terreno, fu costruito in posizione strategica tra gli anni 1212-1219 per controllare le valli dell’Elsa e dello Staggia in direzione di Firenze, che all’epoca si espandeva minacciosa.

Superata la porta principale del castello appare la piazza principale, Piazza Roma, con giardini ed orti circostanti. Proprio come durante gli assedi quando erano coltivati per sopravvivere. Un prato verde interessa anche il selciato della chiesa, una significativa testimonianza di architettura romanico-gotica di transizione. Il campanile risale al XVIII secolo.

Il pacifico borgo ospita oggi una popolazione ridottissima, qualche negozio, una rivendita di prodotti tipici e un albergo. Il ridotto perimetro delle mura (570 metri) non permetterebbe un’espansione maggiore. Insomma, l’antica città murata, pur ridimensionando il numero delle sue torri, è in sostanza autentica, ancora quella del Duecento. Spente le luci elettriche, posizionate le torce lungo i vicoli, la cinta murata torna indietro nel tempo, come per magia.

Prima di ripartire per Colle di Val d’Elsa, si può fare una breve visita alla vicina Abbadia Isola, borgo sorto attorno all’abbazia cistercense di San Salvatore, fondata nell’XI secolo. Un tempo il territorio circostante era paludoso, da qui il nome. Il convento benedettino presenta una bella facciata coronata da archetti. All’interno, notevoli il quattrocentesco fonte battesimale, un’antica urna cineraria e la Maestà del maestro di Abbadia a Isola della fine del Duecento.

A poco più di 6 km si trova Strove, un piccolo borgo fortificato attestato come castello già a partire dal X secolo, quando era compreso tra i possedimenti dei conti di Staggia. Pur nell’apparente assenza di strutture medievali l’origine castellana è rivelata con evidenza dalla disposizione a cerchio delle costruzioni.Da visitare il caratteristico borgo delle case di pietra, arroccato su una collinetta.

Nella chiesa romanica ancora oggi esistente si possono ammirare due tele seicentesche, una Madonna con bambino e due santi a sinistra e San Martino e il povero a destra. All’interno della chiesa era presente anche un dipinto di notevole pregio, L’Annunciazione del senese Arcangelo Salimbeni, una magnifica tela cinquecentesca conservata oggi presso il Museo di Colle di Val d’Elsa.

Da qui si possono seguire le indicazioni per la Suvera. Di origine medievale, il castello di Pievescola fu trasformato in elegante villa cinquecentesca da Baldassarre Peruzzi: attualmente è un lussuoso albergo.

Da qui si procede per la strada provinciale, assai suggestiva, in direzione di S. Colomba-S. Leonardo al Lago Lecceto, per poi tornare in direzione Sovicille. A S. Colomba una maestosa villa cinquecentesca domina il piccolo borgo.

Lungo uno dei percorsi della Via Francigena, fra boschi di lecci e di querce, in località Santa Colomba, sorge l’Eremo di San Leonardo al Lago, così ricordato negli antichi documenti per la presenza di un lago prosciugato nel XVIII secolo. Le prime notizie certe che testimoniano la presenza di una comunità eremita risalgono all’anno 1112, ma la sua esistenza sembra risalire ad un’epoca precedente al XII secolo. Nel 1239 l’eremo passò agli Agostiniani e nel 1250, con una bolla papale, fu unito a quello vicino e più noto di San Salvatore di Lecceto. La presenza di notevoli personalità religiose locali, tra cui il beato Agostino Novello, che vi trascorse gli ultimi anni della sua vita e vi morì nel 1309, contribuì a trasformare San Leonardo in meta di pellegrinaggio.

I resti della cinta muraria e due torri, una rotonda e una quadrata, attestano che nel 1366 l’eremo fu fortificato per accogliere le vicine popolazioni di Santa Colomba in periodo di guerra. Lo sviluppo architettonico del complesso monastico risente dell’adesione dei primi eremiti all’ordine agostiniano: a pianta quadrangolare con edifici articolati attorno al chiostro. Il Monastero conobbe un periodo di grande prosperità grazie alle donazioni di terre e alle offerte dei devoti, nonché al diretto intervento di istituzioni pubbliche, quali l’Ospedale di Santa Maria della Scala e la Repubblica di Siena, che ne promossero il rinnovamento. Nel Trecento fu ampliata la primitiva chiesetta romanica e realizzata la nuova chiesa gotica a navata unica, suddivisa in tre campate e abside rettangolare.
Tra il 1360 e il 1370, il coro fu interamente affrescato dal pittore senese Lippo Vanni, con ciclo dedicato alla Vergine. Nel locale a pian terreno, originariamente destinato a refettorio, si trova a tutta parete un altro pregevole affresco raffigurante la Crocifissione, attribuita a Giovanni di Paolo nel suo periodo giovanile, intorno al 1445.

A breve distanza sorge Sovicille, borgo ai piedi della Montagnola attorniato da boschi di lecci, vigneti e olivi sulle colline e da una pianura coltivata a grano.

Il centro storico di Sovicille, posto su un rilievo ai piedi della Montagnola e racchiuso nella cerchia delle mura quattrocentesche, era nel secolo XII sede di un castello posseduto dal vescovo di Siena. A poca distanza sorge l’antica Pieve di Ponte allo Spino, una tra le chiese rurali di età romanica più interessanti della Toscana: nel cortile a fianco, i resti di un chiostro duecentesco e le bifore in stile senese di un edificio in cui i vescovi trascorrevano la villeggiatura.

Rosia, presso l’antica via del borgo, si può ammirare un’altra pieve romanica, il cui campanile è impreziosito da una successione verticale di monofore, bifore, trifore e quadrifore. Nella valle boscosa e selvaggia del torrente Rosia, il suggestivo Ponte della Pia ricorda la nobildonna senese Pia de’ Tolomei, immortalata nel Purgatorio di Dante: si dice che il suo fantasma ancora vi compaia in certe notti di luna.

Tra i borghi spicca, per le sue intatte forme medievali, quello di Torri, celebre un tempo per la sua ricca abbazia, della quale è possibile vedere la basilica trecentesca e un mirabile chiostro con tre ordini sovrapposti di colonne, il primo in pietra, del XIII secolo, il secondo in cotto, del secolo XIV, e l’ultimo ligneo, del secolo successivo. Ma anche altri piccoli borghi hanno le loro attrattive: Stigliano, con le sue tre colline occupate da altrettante torri o fortilizi; Brenna, lambita dal fiume Merse e meta estiva di bagnanti; Orgia, un tempo sede di un temibile castello degli Ardengheschi, del quale oggi resta solo una piccola torre; Ancaiano, con una bella chiesa attribuita a un disegno di Baldassarre Peruzzi; Simignano, con la sua chiesetta romanica.

Molti anche i castelli: Montarrenti, di cui restano due torri e brandelli di mura possenti; Castiglion che Dio sol sa, sperduto tra i boschi, come dice il suo nome; Capraia, anch’esso in mezzo ai boschi, svettante su una collina; Celsa, dall’aspetto fiabesco e dall’elegante giardino rinascimentale; Palazzalpiano; Poggiarello; e decine di altri fortilizi e torrioni.

Non si può lasciare il senese senza aver visitato l’Abbazia medievale per eccellenza, una delle più visitate della Toscana, quella di San Galgano.

Situata a circa 30 km da Siena, questa località deve la sua fortuna alle mitiche vicende del cavaliere Galgano Guidotti e alla leggenda della spada della roccia. Nulla a che vedere con la spada di Re Artù cantata nel ciclo bretone: la spada di ferro custodita dall’eremo di Montesiepi affonda infatti le sue radici direttamente nella storia e in una storia tale da oscurare il primato di quell’altra spada nella roccia cui sono stati dedicati fiumi di pagine e poi, nell’era dell’immagine, film e documentari.

L’intero complesso di San Galgano nel comune di Chiusdino, comprendente l’abbazia e l’eremo di Montesiepi, è raggiungibile esclusivamente tramite l’auto percorrendo la SS223 Siena-Grosseto.

L’itinerario può concludersi a Massa Marittima. Adagiata su un colle, ha il suo centro ideale in piazza Garibaldi, nella parte antica della città. Il Duomo, armonioso nella sua grandezza, monopolizza l’attenzione. Da guardare con cura i riquadri con la vita di S. Cerbone scolpiti sull’architrave del portale. Attorno fanno da corona i palazzi del potere civile: il duecentesco palazzo Pretorio, sede del Museo Archeologico, e il merlato palazzo Comunale, sede della Pinacoteca.

Più in alto la città nuova, nata nel Trecento all’epoca della dominazione senese. Da visitare la chiesa di S. Agostino, iniziata nel 1299, con bellissimo chiostro quattrocentesco. Per vie che conservano intatto il loro sapore antico, si può arrivare alla chiesa di S. Francesco, sorta nel Duecento e ancora al limite della campagna.

Da non perdere una visita al Museo Minerario. Ci racconta, attraverso macchinari, modellini di gallerie, metodi di coltivazione e sondaggi, la storia di una civiltà che sin dall’epoca etrusca fu legata allo sfruttamento delle miniere: come dimostra anche il codice minerario che risale al 1200, e fu redatto proprio a Massa Marittima.

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