Palombara e il Castello Savelli, il castello più grande del Lazio

Il borgo di Palombara Sabina si presenta come un grandissimo villaggio a cupola dall’andamento a spirale, tipicamente laziale, con le case strettamente addossate l’una all’altra sul poggio, intorno al centro gravitazionale costituito dal castello.

Questa simbiosi tra il castello e l’abitato costituisce un elemento significativo del paesaggio laziale, quasi a rappresentare visivamente un diverso e ben più stretto rapporto fra città e campagna rispetto ad altre regioni, in cui il castello si presenta completamente isolato.

La tipica struttura urbanistica costituisce una probante conferma della datazione delle origini di Palombara al X sec., fase dell’incastellamento che sarà uno dei momenti fondamentali della strutturazione del paesaggio.

Come prima fortificazione fu costruita la bella torre di cinque piani, originariamente alta più di 23 metri, databile addirittura al IX secolo. Le prime notizie documentarie sui feudatari di Palombara sono però di due secoli più tardi, e ci presentano i conti di questo castello come imparentati ad una delle più importanti famiglie laziali dell’epoca, i conti di Tuscolo.

Grande attività edilizia fu dispiegata, agli inizi del XII secolo, da Ottaviano I conte di Palombara, al quale si deve il primo palazzo baronale. Intorno sorse il nucleo abitativo medievale, che appare praticamente intatto a chi vi sale da piazza Garibaldi. La salita a spirale è attraversata da un duplice camminamento coperto o rivellino, detto del soccorso, che permetteva di raggiungere direttamente dalla rocca il torrione cilindrico che si leva sull’odierna Piazza Vittorio Veneto. E’ lungo 83 metri; vi si aprono 37 feritoie che consentivano di puntare all’esterno con balestre o, in seguito, con armi da fuoco. La presenza di questo manufatto difensivo rafforzò la coesione fra il maniero signorile e il borgo, dalla quale sia l’uno che l’altro trassero nel Medioevo reciproci vantaggi: da una parte difesa e protezione, dall’altra un’egemonia non solo militare ma anche economica.

La complessa mole del castello si è sviluppata, fra il XIII e il XIV secolo, intorno all’antica torre rettangolare; pur rappresentando importanti interventi cinquecenteschi, dovuti soprattutto all’incendio appiccato in gesto di temeraria difesa dal signore del luogo, ha mantenuto intatta l’impronta medievale. E’ infatti caratterizzato dalla giustapposizione di diverse parti realizzate man mano che se ne presentava l’esigenza, unificate dal materiale costruttivo, pienamente armonizzato con l’ambiente.

L’ampliamento costruttivo coincide con il passaggio del feudo dai conti di Palombara alla potente famiglia romana dei Savelli alla metà del XIII secolo, con la vendita a Luca Savelli, nipote di papa Onorio III, che per primo attuò la politica “nepotistica” pontificia. Palombara divenne allora la capitale di un vero e proprio piccolo regno, indispensabile supporto provinciale della potenza romana della casata.

A Roma i Savelli avevano il loro tribunale e la loro prigione, quella “Corte Savella” che estendeva la sua giurisdizione a tutti i laici al servizio del papa. La fortuna della famiglia, cui appartennero due pontefici (Onorio III ed Onorio IV), proseguì anche durante l’esilio avignonese del papato, praticamente per tutto il Trecento; nel secolo successivo, però, passò in secondo piano, offuscata dalla lotta per l’egemonia sulla regione combattuta da Orsini e Colonna. La perdita di peso politico a Roma li portò per compensazione a rafforzare la loro presenza a Palombara, dando nuovo impulso ai lavori di ampliamento del castello. Ne è testimonianza la semplice ma chiara lapide d’epoca che nel secondo cortile, dominato dalla bella mole della torre cilindrica, è dedicata a Jacobus Sabellus.

Jacopo Savelli resistette a Palombara ancora per un anno, poi, nel luglio 1461, dovette arrendersi. Buona parte della fortuna familiare andò distrutta; rimasero solo pochi castelli, fra cui, naturalmente, quello di Palombara, cuore del feudo savello, che continuò ostinatamente a combattere gli Orsini. Contro questi e contro il loro alleato Troiano Savelli, appartenente al ramo familiare rivale di Ariccia, il nuovo signore Troilo Savelli non esitò ad uscire dalla rocca, gettando una cortina di pece e di fuoco sugli stessi edifici del borgo. L’attacco fu così bloccato, ma gli scontri proseguirono: il 30 marzo 1496 l’esercito Colonna Savelli prevalse nella vallata di San Francesco, fra Palombara e Montecelio; il successivo assedio degli Orsini fallì per le drastiche misure di difesa prese da Troilo, che non esitò ad abbattere le case del borgo pur di mantenere lontano il nemico.

Quando lo scontro si chiuse per volere di papa Alessandro VI Borgia, che riuscì a portare al tavolo della pace nella Rocca Pia di Tivoli i due schieramenti rivali, Palombara era ormai un ammasso di rovine. Ma lo stesso Troilo, dopo aver distrutto il suo castello, lo ricostruì, dotando per di più di nuove scuderie, rimesse, cantine, che vediamo a sinistra dell’arco d’ingresso. Inoltre ne consolidò la rocca e l’abbellì con un giardinetto pensile affacciato su di un amplissimo, inimitabile paesaggio.

Dal Seicento fino alla metà del Novecento, infine, continua a cambiare proprietari, finché nel 1971 viene venduto al Comune di Palombara. Attualmente, il castello è sede di una biblioteca e di un museo naturalistico.

Con ben 132 ambienti su un’area di 10.000 metri quadrati, si tratterebbe del castello più grande del Lazio.

Gli affreschi visibili tuttora nelle sale interne sono quelli riconducibili alla volontà di Troilo Savelli e sono opera di Baldassarre Peruzzi, suo conoscente. I più notevoli sono quelli che adornano la cappellina e l’ala del castello prescelta come abitazione signorile. Nel corso di recenti lavori di restauro sono state riportate alla luce scene di grande interesse, precedentemente ricoperte da uno strato di calce e di intonaco. Gli ambienti ripristinati sono uno studiolo e un salone: nel primo, di forma piuttosto irregolare, le pareti presentano una decorazione in tre fasce. In basso sono rivestite di finti tendaggi damascati color ocra, con lumeggiature in rosso, inframmezzati da pilastri decorati con le tipiche grottesche rinascimentali. Nella parte centrale si succedono quattro lunettoni, sagomati dagli archi del soffitto a volta e sormontati da altrettante vele triangolari della volta stessa, che si presentano raffigurazioni allegoriche delle arti liberali, tipica decorazione rinascimentale.

Assai più complessa è la decorazione del vasto salone, che presenta sulla parte alta delle pareti personaggi della storia romana, collocati in riquadri simmetrici sui pennacchi che vi si innestano e sulle lunette terminali. Sono facilmente identificabili per la presenza di nomi e motti, ed appaiono affiancati da grottesche con vivaci scenette ispirate alla realtà campestre ed ambientale dell’epoca. Vi appaiono scene come l’abbacchiatura delle olive, paesaggi campestri, scene di vita quotidiana con donne intente a filare, leggere, conversare, bere. Una lunga iscrizione, accompagnata da fasce di grottesche, corre intorno al soffitto, chiarendo il significato del ciclo,, pur essendo incompleta. Afferma infatti che il ricordo delle imprese degli antenati accende l’animo alle virtù: affermazione rinascimentale quanto altre mai.

Sempre nel territorio di Castiglione vale la pena visitare un altro castello medievale, stavolta abbandonato, quello di Castiglione.

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